Il Museo Civico nel Castello


Il Museo Civico nel Castello

Descrizione:

Il Museo Civico, inaugurato nel 1985, situato all’interno del Castello di Aci, offre un intrigante viaggio nel passato costituito dalle sezioni di mineralogia che contiene reperti che testimoniano il variegato mondo geologico della nostra isola, di paleontologia e di archeologia con reperti antichissimi risalenti all’età della pietra.

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Guida al museo

Sezione archeologica

Ospita manufatti e strumenti dell’uomo dalla preistoria fino all’età medievale.

Vetrina13

— Manufatti preistorici: interessante é l’esempio di focolare che ha conservato i resti di un pasto e una serie di strumenti litici.

Notare inoltre il choppertool, tipico strumento del Paleolitico (80.000-10.000 a.C. ca.) che serviva come arma di offesa e di difesa, per raschiare la pelle degli animali, per spezzare le ossa da dove veniva prelevato il midollo.

La punta di lancia in quarzite, per le sue eccezionali dimensioni, era probabilmente di carattere votivo.

Una serie di microliti testimoniano il Mesolitico (ca. 10.000 anni a.C.), l’età in cui l’uomo diventa seminomade ed impara a mangiare molluschi (i microliti servivano anche per estrarre il mollusco dalla conchiglia).

Al primo ripiano sono visibili strumenti litici del Neolitico (circa 5.000 a.C.): lame, punte di freccia, raschiatoi etc.; non manca inoltre l’ossidiana, vetro vulcanico proveniente da Lipari, usato a partire dal terzo millennio a.C.

Durante il Neolitico giungono in Sicilia nuove popolazioni, che portano una civiltà superiore a quella del Mesolitico.

Sono genti che conoscono l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, e, attraverso i mari, commerciano i loro prodotti. Abitano in villaggi di capanne, lavorano l’argilla, la selce, l’ossidiana, i basalti.

Vetrina 14

— In Sicilia la cultura tipica del Neolitico é la cultura di Stentinello così chiamata da un villaggio vicino Siracusa, in cui furono trovati per la prima volta i più antichi manufatti.

Si riconoscono due classi di ceramica: la prima più grossolana decorata con pizzicotti o con unghia (ceramica pizzicottata o unghiata), punzoni o usando ancora il margine di una conchiglia (Cardium o Pectunculus); la seconda classe, é una ceramica più raffinata nelle forme e nella fantasia decorativa in cui i vari disegni, spesso messi in risalto con pasta biancastra, raggiungono un alto livello espressivo.

É interessante notare il simbolo degli occhi, reso con una coppia di losanghe, che ha significato apotropaico.

In questa età, in cui si sconoscono i metalli, l’uomo usa la selce e l’ossidiana per farne coltellini, raschiatoi e tutti quegli strumenti utili ai suoi bisogni. Le sue armi erano costituite da asce di pietra realizzate levigando pietre di basalto fino a raggiungere la forma quasi a martello, con punta arrotondata da un lato e taglio dall’altro (vetrina 13 – 2° ripiano) Vetrina 15 – Sempre al Neolitico si riferiscono i rocchetti, ossia anse di vasetti di colore rossiccio, appartenenti alla cultura di Diana.

La cultura di Castelluccio, che prende il nome da un villaggio vicino Noto, segna l’inizio dell’età del bronzo, ed é caratterizzata dall’affermazione della metallotecnica e da correnti commerciali più vaste.

Essa ci ha lasciato centinaia di tombe a grotticella artificiale scavate nel calcare, in genere di forma ovale, di varia misura (da meno di un metro a poco più di due metri). Nella regione etnea, essendo difficoltoso scavare la lava, si usarono come sepoltura le grotte naturali di scorrimento lavico.

La ceramica castellucciana, dipinta in nero su fondo rosso, con vari motivi decorativi (linee parallele, clessidra, bande incrociate, scacchiere, etc.), é testimoniata soprattutto da grandi anfore biansate, bacili, bicchieri e fruttiere.

Vetrina 16 – Si passa all’età greca con i frammenti di fondi e anse di coppette, skyphoi, ed il bellissimo vaso daunio del V-lV sec. a.C. A quest’età appartengono le fuseruole e i pesi da telaio.

Non mancano frammenti di età romana con la ceramica sigillata (ceramica fine da tavola a superficie rossa di età imperiale) e i resti di grossi vasi provenienti dalla fornace di Acicastello (secondo ripiano a destra).

Durante l’età romana, a partire dalla seconda metà del I secolo, si ha la produzione di un tipo di ceramica caratterizzata da una vernice di colore rosso corallo.

L’antico vasaio otteneva questo colore utilizzando una sospensione colloidale ricca di ossidi di ferro che si trasformavano in ossidi ferrici durante la cottura in forno attraverso un processo di ossidazione ottenuto mediante l’immissione di ossigeno.

Infine (ultimo ripiano a destra) abbiamo alcuni esempi di ceramica invetriata e smaltata, prodotta per un lungo arco cronologico, tra il XIV e il XVII secolo d.C..

Questi frammenti, con le varie tonalità di verde rame, azzurro, blu cobalto, marrone, hanno conservato la lucentezza e la varietà di disegno che ci fanno apprezzare la cultura materiale sviluppatasi dal medioevo in poi.

Diversa è la tecnica di decorazione tra la ceramica invetriata e quella smaltata: nel primo caso sul manufatto già cotto si esegue il disegno voluto, poi si immerge in una sospensione d’acqua e ossidi di piombo ed infine si rimette nel forno, dove gli ossidi di piombo fondono dando la lucentezza tipica della ceramica invetriata; nel caso della ceramica smaltata, il processo é inverso: si immerge infatti prima il manufatto già cotto in una sospensione d’acqua e ossido di piombo insieme a ossidi di stagno (che danno un tipico effetto opacizzante), poi si lascia asciugare e si esegue il disegno voluto.

Infine il manufatto va una seconda volta in forno, dove gli ossidi fondono creando uno strato di smalto sul manufatto.

Vetrine 17 e 18

—Comprendono la sezione dell’archeologia subacquea in cui sono visibili le anfore da trasporto e le attrezzature delle navi antiche.

L’anfora da trasporto appartiene ad un genere di manufatto fabbricato e smerciato non per il suo valore artistico, ma per la sua funzione di contenitore di prodotti di natura alimentare: vino, olio, salsa di pesce, etc. In genere le fabbriche di anfore sorgevano lungo le coste, in corrispondenza di un entroterra agricolo produttivo vicino a porti d’imbarco.

Anticamente i trasporti delle merci venivano effettuati soprattutto via mare, perché più economici e più rapidi; le grandi navi onerarie erano infatti senza dubbio più veloci degli antichi carri trainati dai buoi e inoltre potevano trasportare un carico dieci volte maggiore (circa 10.000 anfore). Il carico veniva organizzato in una massa compatta, equilibrata, solida ed elastica allo stesso tempo, tale da poter assecondare il rollio e il beccheggio della nave, evitandone così il ribaltamento.

Il baricentro della nave era mantenuto, all’interno della stiva, da una zavorra di massi di pietra ccoperti di sabbia, nella quale venivano infissi i puntali delle anfore del primo strato; quindi venivano sistemate le anfore del secondo strato, i cui puntali si inserivano tra i colli e le spalle dei recipienti sottostanti, e così via, fino al completamento del carico (modellino vetrina 18, 1° ripiano).

Per conservare meglio i prodotti trasportati, l’anfora veniva calafatata internamente con resina vegetale per impermeabilizzarne le pareti; l’anfora veniva tappata ermeticamente più o meno a 3/4 dal collo con un tappo di resina, cera, o pece per preservarne il contenuto. Solitamente su una delle due anse o sul collo o sul tappo delle anfore, era stampigliato un marchio indicante il nome della fabbrica o del vasaio o del proprietario o dell’armatore: questi marchi sono importanti per la ricostruzione storica del commercio nel Mediterraneo antico.

I frammenti di anfore in esposizione sono stati estratti dal fondale marino tra Acicastello ed Acitrezza. Si tratta per lo più di colli fortemente incrostati dai vermeti, di anfore di età romana e tardo romana. L’imboccatura di questi contenitori ha dimensioni variabili, determinate dal diverso tipo di merce cui erano destinate.

Nell’ultimo ripiano, sono esposti infine anche due diversi sistemi di ancoraggio; il primo, piuttosto primitivo, risalente all’età del bronzo, é costituito da un masso di forma grosso modo triangolare, con tre fori al centro, uno per legare la corda, gli altri due per alloggiare due rami appuntiti che avevano lo scopo di conficcarsi nel fondale marino: il secondo appartiene ad un tipo più evoluto, in uso in età ellenistica e romana, ed é costituito da un ceppo in piombo, senza perno di ritegno al fusto, unico superstite di un’ancora le cui parti in legno si sono ormai decomposte.

Un pezzo assai raro é la punta bronzea di marra che serviva a rinforzare le ancore antiche nel punto di maggiore attrito col fondale marino. Gli anelli di piombo avevano diversi usi sulle navi, venivano soprattutto utilizzati per legare le vele. La presenza in zona di questi “fossili guida” dell’archeologia sottomarina ripropone il tema delle rotte seguite da queste navi che effettuavano una navigazione di cabotaggio, ed apre il problema del ruolo avuto da questa zona nell’ambito dei commerci tra piccoli centri costieri, naturale sbocco per le merci dei centri agricoli interni posti ai piedi dell’Etna.

Le vulcaniti di Acicastello

Nel territorio di Acicastello sono presenti delle particolari vulcaniti formatesi in ambiente sottomarino fra i 500.000 ed i 600.000 anni fa, quando la zona, sommersa dal mare, corrispondeva ad un vasto golfo noto come Golfo preetneo.

Le numerose fratture sul fondale poco profondo costituirono il veicolo per delle eruzioni sottomarine, testimoniate dalla presenza delle argille dell’antico fondale tra gli interstizi della roccia.

L’argilla, a causa dell’alta temperatura della lava, ha subito una profonda trasformazione, originando la marna che ricopre parte dell’isola Lachea e della cima del Faraglione grande.

Il contatto fra l’argilla e la lava ha determinato straordinari fenomeni metasomatici il cui risultato é stato la formazione di particolari minerali, le zeoliti, tra le quali quello conosciuto come analcime é tipico dell’isola Lachea.

I pillows (lave a cuscino) sono blocchi lavici sferici o ellissoidali, internamente fratturati secondo una geometria radiale dovuta alla rapida contrazione che la lava ha subito a contatto con l’acqua di mare.

All’esterno i pillows presentano una crosta vetrosa nera, brecciata, definita ialoclastite.

I pillows di Acicastello differiscono sostanzialmente da quelli di Acitrezza in virtù della minore resistenza meccanica di queste ultime, le quali sono state più facilmente soggette all’azione erosiva del mare, tanto che oggi offrono alla vista solo gli involucri vetrosi esterni.

I basalti colonnari: simili alle colonne della grotta di Fìngal in Scozia o a quelle del Selciato dei Giganti in Irlanda, i basalti colonnari rappresentano quanto è rimasto dì antichi condotti di alimentazione vulcanica.

Oggi sono visibili perché la zona subisce un continuo sollevamento, documentato dalle incrostazioni a coralli e vermeti presenti sui faraglioni e sull’isola Lachea anche a otto metri sul livello del mare.

In cima ai basalti colonnari di solito si sono formati i pìllows.

Gli esempi più spettacolari sì possono ammirare nel porticciolo di Acitrezza o nella parte orientale del Faraglione grande, dove le colonne prismatiche, a sezione pentagonale o esagonale, assumono un aspetto straordinario.

a cura di G. Palumbo

Sezione mineralogica

Vetrina 1

— Minerali delle isole dei Ciclopi e di Acicastello: Analcime,Philipsite, Herschelite, Aragonite aciculare.

Vetrina 2

Bombe vulcaniche (ripiani 3° e 4°).

Si tratta di brandelli di lava fusa scagliati in alto dal  vulcano, modellatisi in forme ovoidali durante il volo e così solidificatisi al contatto con l’aria fredda ancor prima di cadere al suolo (si noti nell’ultimo ripiano la bomba “a crosta di pane” proveniente da Vulcano, ed una più piccola proveniente da Linosa).

Nel 2° ripiano sono esposti esempi di lave “pahoehoe” e di lave “aa” (termini entrambi hawaiani che significano “lave sulle quali si può camminare a piedi scalzi” e “lave sulle quali non si può camminare a piedi scalzi”). Si tratta di prodotti rispettivamente il primo di un vulcanismo basico, caratterizzato da un magma fluido ed il secondo di un vulcanismo acido il cui magma risulta più viscoso.

Vetrina 3

— Quarzi, Diaspri, Agate brasiliane, dendridi di manganese dalla caratteristica forma ad alberello.

Nel 2° ripiano: altri minerali legati all’attività ulcanica: mesoliti di Palagonia (area vulcanica iblea) e cristalli di Ematite di Biancavilla.

Nel 1° ripiano possono osservarsi alcuni minerali provenienti dall’area vulcanica vesuviana.

Vetrina 4

— Fenomeno della fosforescenza.

Alcuni minerali, sottoposti a raggi ultravioletti diventano fosforescenti, cambiando il loro colore originario; in particolare é caratteristico il colore rosa che assume  l’Aragonite.

Vetrine 5 e 6

— “Serie gessoso solfifera siciliana”: complessa successione di rocce sedimentarie deposte in età miocenica (5 ÷ 25 milioni dì anni fa circa). In vetrina si osservano: Zolfo, Gesso,Celestina, Aragonite.

I singoli minerali si presentano sotto vari habitus (Gesso monoclino, prismatico, aciculare a rosette; Aragonite rombica e pseudoesagonale).

Vetrina 7

— Minerali provenienti dall’area calabro-peloritana, in particolare dalle miniere abbandonate in località Fiumedinisi (ME): Aragonite coralloide, Siderite, Malachite, Azzurrite, Galena argentifera.

Da Monte Scalpello proviene la Calcite romboedrica a grossi petali in rosetta (3° ripiano).

Interessanti anche la Rosa del Deserto, africana, ed alcuni minerali provenienti dall’Arizona, India, Marocco (1° e 2° ripiano).

Vetrina 8

— Esposizione di minerali gentilmente concessi dalla Associazione Mineralogica e Paleontologica Etnea (AMPE) che collabora con il museo da diversi anni.

Sezione paleontologica

Ospita fossili riconducibili all’intervallo di tempo che va dall’era Mesozoica al Pleistocene.

L’introduzione é costituita dai pannelli che illustrano la storia geologica della terra, ed in particolare la deriva dei continenti che tanto ha condizionato l’evoluzione e la distribuzione geografica delle forme viventi.

Il pannello centrale illustra l’evoluzione dell’assetto geologico della nostra penisola.

Vetrina 9

— Ammoniti e resti vegetali: alghe, frammenti di tronchi d’albero e foglie.

Vetrina 10

— Resti ossei di vertebrati di età quaternaria: l’lppopotamus Pentlandi, l’Equus Hydruntinus, il Cervo Elaphus, il Boos Primigenius, la Sus Scrofa e l’Elefante nano.

Vetrina 11

Meritano particolare attenzione l’lsocardia Cor, i pesci fossili rinvenuti all’interno di rocce silicee, friabili e bianchissime (Tripoli) e, nel secondo ripiano, fossili rinvenuti nel territorio di Acicastello e risalenti ad oltre un milione di anni fa.

Vetrina 12

— Calchi di crani, acquistati dal Museo dell’uomo di Parigi.

Aperto tutti i giorni

Orari di apertura e chiusura
1° settembre – fine ora legale (ultima domenica di ottobre): 09:00 – 13:00 / 15:00 – 19:00

Inizio ora solare (ultima domenica di ottobre) – fine ora solare (ultima domenica di marzo): 09:00 – 13:00 / 15:00 – 17:00

Inizio ora legale (ultima domenica di marzo) – 15 giugno: 09:00 – 13:00 / 15:00 – 19:00

16 giugno – 31 agosto: 09:30 – 13:00 / 16:00 – 20:30

*L’ingresso è consentito fino a 15 minuti prima della chiusura del Castello.

Prezzo del biglietto d’ingresso

Serie A: Da 11 a 65 anni euro 3,50

Serie D: Ultra 65 anni ridotto euro 2,00

Serie G:  Studenti e medie superiori euro 2,50 (gruppi studenti medie e superiori accompagnati dai loro insegnati)

Da 0 a 6 anni ingresso gratuito

Per i residenti ingresso gratuito

Biglietto unico: Ingresso Castello Normanno + Museo Casa del Nespolo € 4,50

Indirizzo: Piazza Castello

Telefono: 320 433 9691

Ufficio Turismo: 095 7373 421 – 095 7373 434

cultura@comune.acicastello.ct.it

turismo@comune.acicastello.ct.it